Come domare un principe by Miss Black

Come domare un principe by Miss Black

autore:Miss Black [Miss Black]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2018-11-06T23:00:00+00:00


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Sono così tante le cose che non l’ho mai visto fare. Credo di non averlo mai visto fare pipì. Ha un forte senso della privacy, riguardo l’uso del bagno. E non l’ho mai visto ubriaco, l’ho già detto. Credo di aver visto più o meno chiunque ubriaco – a volte capita a tutti di alzare troppo il gomito – ma non lui. Non l’ho mai visto perdere le staffe. Non del tutto. Anche da arrabbiato, Rashid non dà mai platealmente i numeri.

E non l’ho mai visto piangere.

Mai. Mai, neppure quando vediamo un film davvero commovente, il genere di film che finisce con me con i singhiozzoni.

Ma ora piange ed è come una stilettata nel cuore.

Gli dico di accostare, di fermarsi un attimo sulla linea gialla. Giro io stessa il volante. La macchina si spegne con un singulto, tiro il freno a mano e lo abbraccio.

Rashid mi stringe le braccia e dalla sua bocca viene un suono spezzato, un suono incompiuto, che esprime un dolore troppo complicato per sgorgare fuori senza sforzi. Questo dolore gratta e sbatte dappertutto, come una falena intrappolata in gola.

Vorrei accarezzargli i capelli, ma mi tocca accarezzargli la kefiah. È una cosa ridicola.

«Rashid…» mormoro. Gli bacio il lato della faccia, la parte che non nasconde contro di me. «Rashid, per favore…»

E poi qualcosa batte sul finestrino della macchina e io me la faccio sotto dalla paura. Alzo gli occhi e vedo un poliziotto. Un poliziotto della stradale o l’equivalente saudita. Ha un berretto nero in testa, la divisa beige e degli occhiali a specchio sul naso.

Sono paralizzata dal terrore e Rashid continua a singhiozzare senza rendersi conto di nulla.

Mi allungo verso il suo finestrino e faccio scendere il vetro. A quel punto Rashid si accorge che qualcosa non va e si scosta di colpo.

«Che cosa succede? Perché si è fermato qua?» chiede il poliziotto.

Gli rispondo io, in arabo. Non so da dove mi vengano le parole. Dal centro cerebrale del terrore, probabilmente.

«Ci scusi. Stiamo andando al funerale di sua madre e all’improvviso…»

Rashid si asciuga la faccia. «Mi dispiace» borbotta.

«È comprensibile. Ma non mi sembra in grado di guidare».

Emetto un suono sconfortato. «Be’, io non posso farlo, a quanto pare!».

Mi pento quasi subito di quello che ho detto. Il poliziotto aggrotta la fronte. Dio, qua dietro c’è la loro macchina. Il suo collega è all’interno, chissà se sta trasmettendo la nostra targa a qualche centro di controllo…

«Mi scusi» dico, chinando la testa. Una brava femmina sottomessa, okay?

«Da dove viene? Parla bene la nostra lingua».

«Dagli Stati Uniti».

«Ha una patente, giusto?».

«Sì, è ovvio. Ma non una patente saudita, e comunque le donne non guidano».

Il poliziotto emette un grugnito. «Qua siamo in campagna, signora. C’è pieno di donne con un permesso speciale per guidare. Da anni. Non si capisce che cosa si siano inventati di nuovo a Riyadh. Mi faccia vedere la sua patente».

La tiro fuori. È tutto surreale.

Lo sbirro la osserva, mi guarda in faccia per accertarsi che sia davvero io (come farà con le donne in niqab?) e me la rende.



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